sabato 8 dicembre 2018

Che vuol dire “zeppola”?

Come spesso abbiamo visto in questo blog, le etimologie legate alla culinaria sono sempre le più difficili, dunque le più curiose. 
A zeppola sono legate almeno 5 etimologie, di cui esponiamo le 2 piu probabili:

Zeppola da Zeppa, dunque dal latino cippum, pezzo di legno da ardere che rimanderebbe all’immagine del piccolo crocchè.
Zeppola da Serpulam, ovvero piccola serpe. Riferibile alle zeppole a forma di graffa (chiamate in napoletano appunto “zeppole”), dal momento che sono avvolte su se stesse.





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Cari lettori, 'O napulitano, il (ragazzo) napoletano, è un blog fondato nel 2015, e che a fasi alterne è attivo ancora oggi. Esso nasce dalla curiosità e dall'amore nei confronti del proprio dialetto. Senza alcuna pretesa 'didattica' in questo spazio si riportano i ragionamenti sulle espressioni più curiose che capitano all'orecchio del fondatore o dei suoi amici. A questi sono affiancati, di tanto in tanto, post con testi poetici, osservazioni sulla lingua scritta, e indicazioni sulla corretta scrittura, tutto ovviamente ancora lungo la linea del buon napoletano.  

Per qualunque tipo di segnalazione o commento, oltre allo spazio lasciato qui sotto, potete scrivere a: perrone.anto@hotmail.com, o cercare su Facebook Antonio Perrone; è infatti possibile pubblicare post e approfondimenti a nome di altri, utilizzando questo blog come un luogo di condivisione pubblica. 

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venerdì 16 novembre 2018

‘Nzuaruto

Nzuaruto

Uni degli aggettivi più frequenti del parlato desueto (a me piace chiamarlo “il linguaggio dei nonni”), nzuaruto, o nzuarato, trascrizione corretta ‘nzuvaruto... che cosa vuol dire?

L’aggettivo si applica di solito al cibo, nu cachisso nzuaruto ad esempio, e sta ad indicare ben due significazioni diverse: succoso, o al contrario acerbo. La sua etimologia è ravvisabile nel sughero, ovvero nel legno, giacché ‘nzuvaruto starebbe per “insugherato”, quindi della stessa consistenza del sughero.



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domenica 11 novembre 2018

Rinale!

Rinale!

“Si' nu rinale!”, ovvero sei un “poco da buono”. Aferesi del più conosciuto orinale, cioè il vaso da letto (detto anche pitale) e dunque paragonabile a tutto quanto possa esserci di sudicio o di lercio in un essere umano... diciamo che di certo non è una delle più belle offese da rivolgere a qualcuno (significando alla lettera “sei un cesso”)!




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sabato 10 novembre 2018

'A pernacchia!

'A PERNACCHIA

La pernacchia, ovvero il peto imitato con la bocca. L'etimologia di questo nome è da ricercare nel latino vernaculum (derivato a sua volta da verna, lo schiavo domestico), terminologia che sta appunto ad indicare ciò che è "volgare", dunque "scurrile". 

I fenomeni fonetici che portano alla creazione della parola moderna li abbiamo già anticipati nelle prime lezioni, ma è importante ricordarli brevemente: 

  1. vernaculum --> vernaclum (sincope)
  2. vernaclum --> vernacchium (vedasi la lezione sui nessi consonantici al seguente link)
  3. vernacchium-->vernacchio (per caduta della consonante finale nel latino volgare)
  4. vernacchio->vernacchia/pernacchia







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venerdì 9 novembre 2018

'A bella mbriana

'A bella mbriana

Ogni Napoletano conosce a menadito la leggenda della bella mbriana, che infatti non racconterò, soffermandomi come al solito sulla derivazione linguistica di un sintagma tanto strano! Che cosa vuol dire "bella mbriana"
Secondo l'ipotesi più accreditata, mbriana sarebbe la forma sincopata di meridiana, ovvero il tipico orologio degli antichi. Il collegamento sarebbe ancora dovuto a una espansione di senso, giacché meridiana deriva da meridies, ovvero mezzogiorno, l'ora in cui il calore del sole (e della casa?) si fa più sentire, ma non solo! Orario, soprattutto, in cui è possibile vedere quelle "senghe" di luce che si affacciano con prepotenza penetrando le fessure delle tapparella, tipica manifestazione, nella credenza popolare, proprio dello spiritello benefico (immaginate: un fascio di luce improvviso che illumina i pulviscoli di polvere danzanti nel nulla, creando un momento di particolare bellezza visiva). 






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Me fanne male 'e cianche

Me fanne male 'e cianche


Lo buon maestro ancor de la sua anca 
non mi dipuose, sì mi giunse al rotto 
di quel che si piangeva con la zanca.    



In Inferno XIX, 43-45, scrive di un dannato che si lamenta con "la zanca" ovvero con le sue gambe. Vocabolo di origine iraniana, che approda nelle lingue neolatine tramite i contatti commerciali con la Persia, permane ancora oggi nella lingua napoletana col significato di "fianco", espansione metonimica che indica un dolore addominale, spesso causato da grasse risate




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mercoledì 7 novembre 2018

Neapolitan gesticulation speech

Neapolitan gesticulation speech (‘a faccia d’’o *azzo)


1) You lost your mind, stai fore ca capa

2) What the f*** do you want? Che *azz vuó?

3) Please, go f*** yourself, ma va aize ‘a mme***.

4) You can’t even imagine, ‘a faccia d’’o cazzo



Click on the video below! 



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martedì 6 novembre 2018

ll'aneme d''o priatorio

ll'aneme d''o priatorio

A quanti di noi è capitato di imbatterci, per i vicoli della città, in una di quelle edicole sacre che la gente del posto costruisce per i propri cari defunti? Il web (e anche wikipedia!) ne è ormai pieno. 
Noi qui non ci occuperemo delle edicole sacre in generale, trattandosi di un blog specificamente linguistico, ma di un solo particolare tipo di questi piccoli sacrari, quelli che vengono comunemente chiamati ll'aneme d''o priatorio, alla lettera le anime del pregatorio/purgatorio (ambivalenza dovuta ovviamente a una torsione linguistica, giacché in napoletano priare è pregare, e non certo purgare). 

Una cosa che mi sono sempre chiesto fin da bambino è perché quelle povere animelle fossero rappresentante come agonizzanti in un un fuoco perpetuo. Sembravano più dannati che penitenti... Ecco allora che pochi anni dopo, a scuola, la risposta mi venne da Dante:

vedrai li antichi spiriti dolenti, ch’a la seconda morte ciascun grida;        e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti.

In Inferno I 116-120, Virgilio parla delle anime che, alla lettera, sono contente di stare nel fuoco, perché hanno la speranza di salire al paradiso una volta scontata la propria colpa (e altri riferimenti ci saranno ovviamente nel Pugratorio vero e proprio). 
Secondo la religione cattolica-popolare, infine, è risaputo che le anime del purgatorio possano ricevere uno "sconto" alla propria condanna grazie alle preghiere dei propri cari in vita. 
Ecco che allora ci spieghiamo la deformazione linguistica! Le anime del purgatorio diventano quelle del "pregatorio" per una sorta di espansione semantica del sintagma che vede collegate purga e preghiera in un rapporto di causa-effetto. Mi è stato difficilissimo ricostruirlo. 




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Accortenza o Accortezza?

Accortenza o accortezza?


Riprendendo una delle "lezioni" più seguite su questo blog, ovvero quella sullo "stare accorti", ragionavo sul fatto che alla stessa etimologia del verbo è legato un altro comunissimo errore partenopeo. Si dice accortezza o accortenza? 
La risposta è, cacofonicamente, la seconda, accortezza, col suffisso latino dei sostantivi in -itia. La lingua napoletana, nella sua straordinaria musicalità e capacità inventiva, propende invece per la forma accortenza, col suffisso latino dei sostantivi in -entia, forma dunque irregolare ma che ha riscosso molto successo se, per esempio, guardiamo all'articolo pubblicato dal napolitoday sulle elezioni comunali del 2013: 

Ma, quando un elettore si reca alle urne deve sempre fare molta attenzione ed esprimere il proprio voto con accortenza per essere così certo che il voto sia valido (cit. da NapoliToday del 23 maggio 2013).

Insomma noi Napoletani ci mettiamo sempre del "nostro", ma bisogna purtroppo ammettere che la forma tanto in voga in Campania è invero una torsione di una forma italiana regolamentata. 




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